Sotto l’albero di Natale delle studentesse e degli studenti siciliani, l’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia ha lasciato proprio un bel regalo. La firma di un protocollo d’intesa con l’Esercito italiano per consentire lo svolgimento delle attività di alternanza scuola-lavoro in alcuni dei reparti militari presenti nell’isola.
Studenti: avanti, march!
Se c’è un concetto che sicuramente nei corsi di formazione per i governanti e gli amministratori regionali viene richiesto come competenza di base è che “al peggio non c’è mai fine”. E sicuramente i dirigenti dell’Ufficio Scolastico Regionale saranno stati studenti modello.
Come si poteva peggiorare una delle peggiori introduzioni nel mondo della scuola, ovvero l’alternanza scuola-lavoro (adesso rinominata PCTO)? Il progetto prevede già lo svolgimento da parte degli studenti delle scuole superiori di attività lavorative non retribuite, trasformando sempre più gli istituti in forni sforna precari e la scuola pubblica in azienda. Com’era possibile rendere questo progetto ancora più spiacevole? Firmando un protocollo che prevede che questa attività lavorativa gratuita venga svolta presso le caserme dell’Esercito italiano.
Su questa scelta ci sarebbero migliaia di appunti da fare, ma ci concentreremo su quelli che ci sembrano più significativi.
1. A cosa forma l’alternanza?
I PCTO, sigla di Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento, sono tra le trovate più problematiche viste negli ultimi anni dentro le riforme della scuola. Lungi dall’avere un’utilità effettiva nel percorso di formazione degli studenti, le ore di alternanza sviliscono la funzione formativa e didattica della scuola, per virare verso una concezione aziendalistica della stessa, a questo punto concepita unicamente come trampolino di lancio nel mondo del lavoro. E in che mondo del lavoro! Anche su questo ci sarebbe molto da ridire, ma per il momento sorvoliamo.
Dunque, dicevamo: nasci, cresci, lavori, muori. Se però nella pochezza del progetto sarebbe possibile, con un po’ di impegno e attenzione, offrire agli studenti dei percorsi perlomeno attinenti al proprio indirizzo di studio e dunque minimamente formativi, il rischio di far le cose discretamente va scongiurato in ogni modo. E infatti la scelta dei partner ricade sempre su soggetti il più lontano possibile da questo obiettivo. Mc Donald’s, la Rap di Palermo, cantieri edili o fabbriche in cui diversi studenti sono stati persino vittime di incidenti sul lavoro; per citare alcuni di quelli che hanno fatto più scalpore.
2. La scuola non è una caserma
Veniamo al partner di nostro interesse oggi: l’Esercito italiano. «Diffusione dei valori etico-sociali, della storia e delle tradizioni militari, con un focus sulla funzione centrale che la Cultura della Difesa ha svolto e continua a svolgere a favore della crescita sociale, politica, economica e democratica del Paese», così si legge nell’incipit del documento di intesa. Particolarmente interessante, a nostro parere, il passaggio in cui si sottolinea come obiettivo quello di diffondere i valori etico-sociali e le tradizionali militari. Chissà di cosa parleranno i generali ai nostri ragazzi! «Ecco, in questa foto, con grande etica e moralità, occupavamo l’Etiopia. Qui, invece, addestravamo le milizie libiche. E qui, infine, esportavamo la democrazia in Iraq».
Le attività proposte ai vari istituti spaziano dal lavorare nei depositi e magazzini delle caserme fino a tagliare cipolle e carote e servire i pasti nelle mense dei militari. Un progetto davvero molto formativo!
Ma, d’altronde, non è la prima volta che l’Ufficio Scolastico Regionale interpella l’Esercito italiano per progetti all’interno delle scuole. Una gravissima spinta alla militarizzazione di istituti pubblici e alla diffusione della cultura della guerra portata avanti da uomini in mimetica.
3. La normalizzazione dell’occupazione
Questo protocollo, essendo stato firmato in Sicilia, assume una gravità maggiore. In una regione completamente abbandonata a sé stessa dallo Stato – di cui in teoria fa parte – dove i servizi, le infrastrutture, le scuole, il welfare, i diritti essenziali sono inesistenti, la presenza dell’Esercito e delle forze armate in generale rappresenta l’unica forma di esistenza statuale sul territorio, nella sua funzione di repressore e garante dell’ordine pubblico.
La notizia ricorda molto l’intervento di qualche giorno fa a Catania dei Marines di Sigonella, chiamati a ridipingere le pareti di una scuola. In questa terra, la violenza delle occupazioni militari, la violenza della repressione e la devastazione del territorio diventano percorsi didattici. Quale miglior modo per far sì che i siciliani accettino queste violenze? Insegnargli fin dalle scuole che è giusto che le cose vadano così. Anzi, che non c’è nulla da temere.
Per concludere senza che Musumeci si senta trascurato
E poi un’ultima riflessione, non perché c’entri direttamente con l’alternanza scuola–lavoro, ma perché parlando di Sigonella non si può passare oltre. Ieri mattina il Presidente Musumeci, forse ancora in preda alle bevute natalizie, ha pensato di andare a fare visita alla base militare americana di Sigonella. Ma non è stata una visita di cortesia per augurare il Buon Natale ai nostri amici Marines, il Presidente infatti è andato a promettere agli Yankee che la Regione si farà carico dei problemi di dissesto idrogeologico che interessano l’area della base.
Negli ultimi mesi abbiamo pianto morti, visto autostrade sotto acqua, perso interi raccolti nei campi a causa delle piogge che si sono abbattute sulla Sicilia. Conseguenze dettate da anni di abbandono e mancata messa in sicurezza del territorio siciliano, da parte di questo governo come dei precedenti. La promessa di Musumeci agli americani non solo è profondamente ingiusta – che si preoccupino loro della manutenzione delle aree che occupano – ma anche uno schiaffo a tutti i siciliani che rischiano la vita ad ogni temporale.
Musumeci e l’Ufficio Scolastico Regionale forse soffrono il fascino della divisa; noi soffriamo la presenza dell’esercito – italiano o americano che sia – e l’occupazione della nostra terra.
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