Il 15 luglio 2025, il Consiglio dei ministri della Repubblica italiana, ha licenziato lo schema di decreto legislativo che integra l’art. 6 del DPR 1074/1965, norma cardine nella regolazione dell’approvvigionamento delle risorse necessarie a coprire il fabbisogno finanziario della Regione Siciliana.
‹‹Un passo storico che, a quasi ottant’anni dalla sua adozione, riconosce finalmente alla Sicilia la possibilità di applicare una fiscalità di sviluppo, in piena coerenza con l’autonomia finanziaria della Regione›› – ha dichiarato con soddisfazione il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, che sembra sugellare l’inizio di una nuova stagione per l’isola.
Cosa cambia?
Si parla di esenzioni, detrazioni, deduzioni fiscali, incentivi e contributi soggetti a un tavolo tecnico tra Stato e Regione. Nel tentativo di fare chiarezza tra le complessità del provvedimento, offrendo una lettura quanto più analitica, riconosciamo quattro principali macro-ambiti operativi:
1. Aliquote fiscali personalizzabili – con possibilità di riduzioni e/o azzeramenti, incrementando l’attrattività per investitori;
2. Esenzioni, detrazioni e deduzioni – mirate ad un maggiore sviluppo economico;
3. Incentivi fiscali per pensionati non residenti – attraverso un regime fiscale agevolato, introdotto dall’art. 24-ter del TUIR;
4. Contributi e incentivi fiscali in compensazione – compensabili tramite accordi con l’Agenzia delle Entrate.
La norma si propone, dunque, di regolamentare una fiscalità di sviluppo già abbozzata nell’accordo Stato-Regione Siciliana del 16 dicembre 2021, sorto dall’esigenza di rafforzare la capacità della Regione Siciliana di attrarre investimenti e popolazione attraverso leve fiscali.
In quest’ottica, i quattro punti sopraccitati sembrano delineare una strategia economica orientata verso l’esterno, destinata a specifici settori sui quali l’attuale esecutivo regionale ha – sin dall’inizio del suo operato – investito, cercando di incentivarne la produttività. Probabilmente, i vantaggi per i siciliani, qualora mai si concretizzassero, lo farebbero in una prospettiva di più ampio raggio.
Se da un lato si prevede un aumento dell’indotto – l’insieme delle attività economiche secondarie che si sviluppano intorno a un’attività – con conseguente miglioramento della domanda aggregata, dall’altro il rischio di dumping fiscale e sociale – pratica commerciale in cui un’azienda estera vende un bene o servizio a basso prezzo con l’intenzione di eliminare la concorrenza, praticando prezzi insostenibili per le imprese locali – cresce in maniera esponenziale, in potenza persino peggiorando le condizioni di lavoro dei siciliani, già precarie e certamente non in linea con quelle del resto delle Regioni. Se sino ad ora il modello dominante ha, infatti, seguito uno schema di sfruttamento di tipo dualistico, in cui si mantengono i fattori produttivi inutilizzati, adesso assistiamo a un cambio di rotta che vira verso un tipo di sfruttamento che vede la Sicilia come piattaforma produttiva periferica i cui profitti vanno fuori e asservita a disegni strategici esterni, distanti e disinteressati alle necessità della popolazione dell’isola.
Un primo passo verso l’autonomia finanziaria?
Quando si parla di autonomia finanziaria, il primo comma dell’articolo 36 dello Statuto speciale recita a chiare lettere:
‹‹Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima››.
Parole che non lasciano spazio a dubbi interpretativi e che sembrano delineare un regime di piena autonomia fiscale, oggi ancora inattuato.
In effetti, la norma appena approvata dal Cdm non si propone di riconoscere, né tantomeno attuare l’autonomia finanziaria della Regione delineata dallo Statuto. Ma, se osservata con lente strategica ed incalzata adeguatamente, potrebbe rappresentare l’incipit per la costruzione di una robusta base produttiva in Sicilia che, se oggi rimane asservita a poteri esterni, potrebbe nel tempo favorire la crescita della piccola e media imprenditoria locale. È necessario che l’obiettivo miri a favorire un modello di sviluppo endogeno che garantisca un tessuto economico resiliente e radicato e che la produzione locale diventi parte del tessuto vitale dell’isola.
Sarà dunque questa la volta buona in cui la classe dirigente dell’isola si assumerà finalmente la responsabilità di affrontare, con visione e coerenza, una delle questioni strutturali cardine che attanagliano lo sviluppo della Sicilia? Oppure l’ennesimo espediente propagandistico utile esclusivamente al mantenimento di un già scarno consenso e privo di un’autentica prospettiva per la costruzione di un futuro dignitoso per i siciliani?
Lungi dal lanciarci in conclusioni affrettate, ricordiamo il lungo iter che l’annuncio dovrà percorrere prima della sua entrata in vigore come legge. Sperando che l’Unione Europea non interrompa il percorso nelle aule di Roma, si attendono i riscontri dell’esame parlamentare e, soltanto dopo, le attuazioni legislative e regolamentari regionali che definiscano criteri, soglie e meccanismi di esenzione e convenzioni.