• Regione e Corte dei conti: l’oghiu fitusu e la padedda spunnata

    Regione e Corte dei conti: l’oghiu fitusu e la padedda spunnata

    di Massimo Costa

    Dicembre 2022: la Corte dei Conti, sezioni staccate per la Sicilia, sospende la parifica sul Rendiconto del 2020. Che sta succedendo realmente?

    Intanto notiamo come ormai, dal punto di vista finanziario, la Sicilia costituisca un unicum nel panorama italiano. Mentre le regioni, tutte, approvano i preventivi 2023-25, la Regione Siciliana ancora deve mettere “pezze” sul consuntivo 2020, ciò che poi si riverserà inevitabilmente sui conti degli anni successivi.

    Non stiamo parlando di “bruscolini”. La Corte non riconosce 866 milioni, su un bilancio che gestisce poco più di 20 miliardi di euro. Praticamente un’enormità.

    Non vado alle udienze della Corte dei Conti, il mio fegato non me lo permette. Qualche amico che c’è andato mi ha riferito di aver visto volti sorridenti e ilari. La Regione Siciliana fa “ridere” a quanto pare. E invece c’è da piangere.

    Alcuni, distrattamente, pensano che sia solo un problema di incompetenza: “i soliti siciliani”, figli di un dio minore. No, le cose non stanno così, e tra le pieghe del discorso della Corte dei Conti una verità, fondamentale, trapela.

    La verità è questa, tutto nasce da lì: lo Stato ha attribuito alla Regione una serie di funzioni, ma non ha dato alla Regione le risorse necessarie per svolgerle. E non stiamo parlando di equità con altri cittadini della Repubblica, di Livelli Essenziali di Prestazioni. No, stiamo parlando di servizi primari e indispensabili.

    Da sempre lo Stato introita risorse che per Statuto spettano alla Regione ma poi, con le briciole lasciate alla Regione, pensa che questa possa provvedere a tutto.

    Su questo stato di fatto strutturale, poi, pesa come un macigno il regalo di 6 miliardi di euro dalla Regione allo Stato nell’agosto del 2015. Con un colpo di spugna tutti i crediti per le risorse tributarie incassate erroneamente (diciamo così) dallo Stato al posto della Regione, vennero cancellati. Ma, di più, vennero contabilmente trasformati in disavanzo. Da allora, e per sempre, la Regione deve “ripianare” questo disavanzo eterno, incassando dai cittadini siciliani più di quello che i cittadini siciliani pagano. E su questo la Corte dei Conti è SORDA, CIECA E MUTA, perché lì è in gioco una ragion di stato sulla quale è meglio non indagare troppo.

    Aveva indagato, all’inizio, il Governo Musumeci, con una commissione d’inchiesta, ma poi, sempre per ragion di stato, si decise di insabbiare tutto. Se dobbiamo a Crocetta questo regalo, dobbiamo ai suoi successori di centro-destra, Musumeci e Schifani, la perfetta continuità nel non denunciare il fatto che se la Regione oggi non riesce a chiudere i bilanci la colpa, in buona sostanza, è di uno stato cialtrone e ladro.

    Bene, punto e a capo, andiamo avanti.

    Sempre nel 2015, per regalare questa montagna di denaro allo Stato, la Regione omise di cancellare i residui attivi realmente decotti, che infatti esplosero anni dopo, ormai sotto Musumeci, regalando alla Sicilia nuovi disavanzi.

    Si sommarono quindi, e si sommano, diversi problemi: il regalo, impagabile, fatto allo Stato nel 2015, il disavanzo nuovo, lo sbilancio strutturale tra le entrate e le spese, dovuto ai regali fatti da Crocetta (senza contropartita) di decimi di IRPEF e IVA maturati/riscossi (su questa “barzelletta” della differenza tra maturato e riscosso diremo magari un’altra volta).

    Cosa ha pensato l’assessore Armao di fronte a questo disastro? La cosa più semplice. Intanto ha asciugato all’osso il bilancio della Regione, soprattutto facendone pagare il peso agli enti locali. Questo però non basta. Non basta il fatto che il cittadino (si fa per dire “cittadino”) siciliano non ha più gli stessi diritti di un italiano (neanche calabrese) neanche alla lontana. I bilanci non chiudono uguale. E allora? E allora creiamo nuovo disavanzo, ma anziché ripianarlo immediatamente come richiederebbe (in condizioni fisiologiche) la nuova legge organica di contabilità pubblica, lo “spalmiamo”, d’accordo con il governo statale, su un ampio numero di anni.

    In pratica, Regione e Stato, incapaci di affrontare il problema una volta per tutte, cosa fanno? Nascondono la polvere sotto il tappeto, e quindi rinviano di qualche anno il problema.

    Nel frattempo si sveglia “chi per lungo silenzio parea fioco”: la Corte dei Conti.

    La Corte dei Conti, che ha assistito impassibile in questi anni allo scempio dei conti siciliani, si accorge (ed ha ragione, va detto) che questa “spalmata di disavanzo” forse va bene per la Nutella, ma per i disavanzi, no, eh no! non si può. E allora? E allora non ti parifico il rendiconto e tu, Regione, fai tagli per quasi un miliardo di euro, quando già non riesci a garantire i bisogni primari. La procura addirittura dice che se alla Sicilia si consente di spalmare il disavanzo e alle altre regioni no, allora i Siciliani sono cittadini “privilegiati”. Sì, proprio così, saremmo “privilegiati”: no comment.

    Su dove poter fare questi ipotetici tagli la Corte non si pronuncia, non parifica … e basta. Non è problema suo, evidentemente.

    Fine della storia.

    E ora, che si fa?

    Schifani ha fatto una campagna elettorale con lo slogan dei suoi “buoni uffici a Roma”: tranquilli, ragazzi, a Roma ho tanti “amici”, vedrete che sistemiamo tutto.

    Ma come? Vogliamo pensare che uno stato fallito come l’Italia trovi le risorse per salvare la Sicilia, magari gettandola in pasto ad un giro di linciaggio mediatico nazionale? Non credo sia così facile.

    Le soluzioni tecniche ci sono, basta volerle. Ve ne do addirittura due. E non sto parlando della “mitica” attuazione dello Statuto, quella può aspettare. Sto parlando solo di due misure tampone per salvare la Sicilia dal default.

    La prima è quella di azzerare semplicemente il disavanzo trentennale nato nel 2015. È una truffa. Dietro non c’è alcun debito. Storniamolo e basta. A questo punto la Regione può chiudere benissimo i propri bilanci. Resta qualche problema strutturale, ma lo si può affrontare con calma.

    La seconda è quello di lasciare tutto com’è e dare alla Sicilia un pezzo, un pezzettino, delle moltissime risorse che le spettano. Basta l’IVA, anzi, forse basta solo l’IVA all’importazione, che credo sia sui 2 miliardi e mezzo l’anno. Sono risorse nostre. Con queste risorse, in un anno ci togliamo di colpo il disavanzo non riconosciuto del 2020, in tre anni chiudiamo il disavanzo storico, e poi basta, quei soldi restano in Sicilia, per sempre, per recuperare dignità e futuro.

    Resta, in verità, la terza soluzione, che però al momento pare sia poco praticabile, ma è certamente la migliore di tutte: l’Italia se ne va, e si toglie dalle palle per sempre.

    Difficilmente potremmo fare peggio di così.


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