• Cosa si nasconde dietro la diatriba sulla fabbrica Intel

    Cosa si nasconde dietro la diatriba sulla fabbrica Intel

    Quale regione sarà scelta per ospitare il nuovo stabilimento della Intel Corporation in Italia? Da più di un mese questa domanda assilla giornali, esperti informatici e politici. Tra le regioni in lizza c’è anche la Sicilia. Ma la guerra per chi si accaparrerà la fabbrica non è solo legata alla costruzione di un nuovo stabilimento di per sè, quanto a cosa quello stabilimento produrrà.

    I dispositivi a semiconduttore prodotti dalla Intel sono la base di cui sono composti i chip, i circuiti integrati che stanno alla base della raccolta dati. Ad oggi, possedere il monopolio sui chip significa totale egemonia sulla gestione dei dati, il “nuovo petrolio” del XXI secolo.

    L’inizio del 2020 ha decretato anche l’inizio della «crisi dei chip». La crisi dei semiconduttori interessa oltre 170 industrie produttrici e ha portato a gravi carenze e attese tra i consumatori di schede video, console per videogiochi, automobili e altri dispositivi elettronici. La causa di questa crisi globale è scaturita dalla combinazione di diversi eventi. Tra questi, la pandemia da Covid-19 è certamente la ragione principale per via dell’aumento della richiesta di dispositivi a fronte dello smartworking e della didattica a distanza. Altre concause sono sicuramente state la guerra economica tra USA e Cina, la siccità a Taiwan e il mining1 delle criptovalute.

    Chip made in Asia

    Nel 1990, più dell’80% della produzione globale di circuiti integrati veniva effettuata tra Stati Uniti ed Europa, mentre la restante parte avveniva in Giappone. All’inizio degli anni Novanta le aziende statunitensi ed europee iniziarono a concentrarsi sul design, affidarono le fonderie di semiconduttori, la parte più rischiosa e ad alta intensità di capitale, a Taiwan e alla Corea del Sud.

    All’inizio degli anni 2000 la scelta di Intel di collocare parte della produzione del suo ATP2 in Cina non sembrava problematica, poiché i primi sforzi della Cina per sviluppare la propria industria di semiconduttori non risultavano preoccupanti.

    Rispetto agli anni Novanta, adesso il rapporto appare invertito: circa l’80% della capacità produttiva mondiale di circuiti integrati si trova ora nell’Asia Orientale, anche se la metà del valore della progettazione è ancora svolta da società “senza fabbrica” negli Stati Uniti.

    La guerra del nanometro

    Sebbene i risultati di questo sforzo, da parte della Cina, siano stati contrastanti, il suo impegno ha suscitato le ire degli Stati Uniti, in particolare dal 2014, quando la Cina ha intensificato le sue politiche di supporto ai semiconduttori.

    Nel suo piano quinquennale 2021-2025, la Cina ha stanziato 1,4 trilioni sulle industrie strategiche, compresa quella dei semiconduttori, che dovrebbe arrivare a contare l’8% della spesa totale nel campo dell’innovazione. Sul suo territorio ha oltre 90 nuovi stabilimenti pianificati o già entrati in funzione. Le aziende cinesi potrebbero scombussolare il mercato mondiale producendo sotto costo e sconvolgendo la domanda.

    Così nel 2020, il governo degli Stati Uniti ha deciso di imporre restrizioni alla SMIC, il più grande produttore di chip della Cina, rendendo più difficile la vendita ad aziende con titoli statunitensi. Queste restrizioni hanno costretto le aziende statunitensi a rivolgersi ad altre aziende quali la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company(TSMC) e Samsung, che tuttavia stavano già producendo al massimo della loro capacità.

    Anche le aziende taiwanesi hanno imposto il divieto di vendita alle sette aziende cinesi inserite nella blacklist degli Stati Uniti. Senza autorizzazione, nessuno potrà più vendere chip a queste società, che il governo Usa considera «attive nella realizzazione di supercomputer usati dalle forze militari della Cina per iniziative destabilizzanti e/o per i programmi legati alle armi di distruzione di massa».

    Tutto questo ha portato il colosso sudcoreano Sk Hynix, tra i principali produttori di chip di memoria al mondo, a bloccare i piani per l’installazione di macchinari all’avanguardia presso il suo stabilimento cinese di Wuxi. La fabbrica di Wuxi è centrale per l’industria elettronica globale perché produce circa la metà dei chip di memoria di SK Hynix, che ammonta al 15% del totale globale.

    Allo scontro Usa-Cina si aggiunge il fatto che Taiwan sta attualmente vivendo il periodo di maggior siccità dell’ultimo mezzo secolo. Ciò ha causato non pochi problemi ai produttori di chip che utilizzano grandi quantità di acqua ultra-pura per pulire le loro fabbriche e i loro wafer3. Basti pensare che le strutture della TSMC utilizzano più di 63.000 tonnellate di acqua al giorno. Le case automobilistiche hanno dovuto ridurre la produzione e le stime delle vendite: l’assenza di un chip dal valore di 1$, impedisce di fatto la vendita di una macchina dal valore di 40k$.

    Ci si trova dunque davanti a un impasse. Se la Cina potrebbe determinare un’uscita dalla crisi mondiale dei chip, Washington non sembra a essere disposta a lasciarle spazio in questa fetta di mercato.

    In Italia: Draghi e il Golden Power

    Questo scontro non si protrae solo tra le due potenze ma anche fra le loro aree di influenza. Un esempio di questa guerra, sono i recenti sviluppi che abbiamo visto in Italia, che si sono palesati con la scelta del Draghi di usufruire del cosiddetto Golden Power.

    Il golden power fu introdotto nel 2012 con il decreto-legge n. 21 del 15 marzo 2012. Con l’obiettivo di salvaguardare gli assetti delle imprese operanti in determinati ambiti di interesse nazionale, il golden power fornisce ai governi “poteri speciali” per dettare specifiche condizioni nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti ritenuti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni.

    Nel 2019 sono state introdotte alcune modifiche che allargano i poteri speciali anche alle reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G. Società come Tim (la quinta rete più importante al mondo), hanno quindi dovuto adeguare la propria organizzazione interna alle regole del golden power prevedendo specifici presidi a tutela degli interessi strategici nazionali. Nel 2020 c’è stato un nuovo rafforzamento del golden power, con un’ulteriore estensione a nuovi settori, per esempio la cybersecurity.

    Da quando Mario Draghi è Presidente del Consiglio ha già bloccato tramite il golden power tre acquisizioni di realtà italiane da parte di aziende cinesi. Per esempio, nell’aprile scorso ha bloccato l’acquisizione del 70% di LPE spa, azienda lombarda nel settore dei semiconduttori, da parte del gruppo cinese Shenzen Investment.

    Il caso Intel

    Gli investimenti dei semiconduttori sono infatti al centro degli sforzi del governo Draghi e del Ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti, da una parte con l’obiettivo di utilizzare i fondi europei per la ripresa, dall’altra con la missione di attrarre investitori stranieri per fare dell’Italia un hub di produzione europeo. È il caso di Intel, colosso americano leader del settore, che sta valutando la costruzione di un maxi-impianto in Italia, una trattativa confermata tempo fa dal Ministro allo Sviluppo Economico Giorgetti.

    Il gigante statunitense dei semiconduttori Intel Corporation era in realtà pronto a espandere le sue operazioni in Cina rilevando la fabbrica abbandonata della joint venture GlobalFoundries nella città sud-occidentale di Chengdu. L’accordo avrebbe potuto far rivivere uno dei principali progetti cinesi di semiconduttori a investimento estero. Ma il piano di Intel per aiutare ad affrontare l’attuale carenza globale di chip è stato respinto dalla Casa Bianca per «problemi di sicurezza».

    Cosa c’entra la Sicilia?

    Il maxi-impianto Intel in Italia potrebbe avere sede proprio in Sicilia. La Sicilia ospita già aziende come la STm Electronics, colosso nel campo della produzione di semiconduttori e wafer. All’inizio di questo novembre il Presidente e Ceo di STm, Jean-Marc Chery, è stato ricevuto a Palazzo degli elefanti dal sindaco Salvo Pogliese. Durante l’incontro è stata confermata la strategicità del sito di Catania e l’obiettivo di espandere il piano di investimenti sull’elettronica di potenza.

    Lo stesso presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, intervenendo al roadshow del Sole 24 Ore e di Confindustria “Innovation Days” in merito al progetto di uno stabilimento Intel nell’Etna Valley, sottolineato l’importanza per il governo regionale nella costruzione dell’opera. Ma per adesso sono quattro le regioni in lizza per ottenere l’accordo con la Intel. E a favore del Piemonte è arrivato l’endorsement prima del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, che e poi del presidente di Confindustria Bonomi.

    La partita è però tuttora aperta. La Intel ha richiesto più di 3 milioni di metri quadri per il centro ricerche e altri 350 mila metri quadri destinati all’assemblaggio. Probabilmente a Catania arriverà l’assemblaggio, mentre a Torino il Centro di ricerca. In Sicilia necessiterebbe di 150 ettari di terreno a disposizione, non facili da trovare in un’area industriale. Musumeci afferma di avere già messo a disposizione all’azienda un’area di 60 ettari di proprietà della Regione e di stare lavorando per trovare zone contigue disponibili.

    Il nuovo petrolio

    I chip sono la base della raccolta dati e del calcolo computazionale. I dati sono la nuova moneta di scambio, dalle criptovalute, agli NFT fino ai giganteschi database che registrano ogni nostra azione e prevedono i nostri comportamenti per vendere i nostri profili. La crisi dei chip, per la portata che ha raggiuto, porta il sistema ad avere paura per la produzione di capitale digitale e per il suo stesso sostentamento.

    Dietro il caso della collocazione dello stabilimento Intel si celano trame ben più complesse della mera installazione di una fabbrica. Allo stesso modo del petrolio, i semiconduttori creano interessi strategici e scontri geopolitici, sia internazionali – come la guerra economica USA-Cina – che interni all’Italia – come lo scontro per il collocamento della nuova sede Intel.

    1 Mining deriva dal termine inglese “to mine”, ossia estrarre, incentrato sulle criptovalute. Il Bitcoin Mining è riferito, dunque, a un loro processo di estrazione. Minare Bitcoin non vuol dire creare denaro; i BTC vengono generati in automatico all’interno della rete B2B (termine coniato per definire i rapporti commerciali interaziendali) che gestisce tale moneta, distribuita on line in modo del tutto casuale.
    2 sottosezione che si occupa della produzione di prodotti di memoria, che negli ultimi anni si è specializzata in moduli NAND e DRAM di alto livello
    3 Un wafer, in microelettronica, è una sottile fetta di materiale semiconduttore, come ad esempio un cristallo di silicio, sulla quale vengono realizzati dei chip o die con circuiti integrati attraverso drogaggi (con diffusione o impiantazione ionica), deposizione di sottili strati di vari materiali, conduttori, semiconduttori o isolanti, e incisione fotolitografica.                                                                                   
    4 vendere le automobili già prodotte, mancanti di chip, man mano che arrivano i nuovi chip

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